Il piccolo, per tre mesi, si voltava dalla mamma e nascondeva il viso. Quando i medici le spiegarono il motivo, lei scoppiò a piangere, tra sollievo e dolore insieme.

 Il piccolo, per tre mesi, si voltava dalla mamma e nascondeva il viso. Quando i medici le spiegarono il motivo, lei scoppiò a piangere, tra sollievo e dolore insieme.

All’inizio Martina non ci dava molto peso.
Lorenzo aveva solo poche settimane quando lei notò per la prima volta che amava nascondere il viso nel cuscino. Stava lì, piccolo come un batuffolo, con le manine sotto il petto, le gambine piegate, il naso nascosto.

— Guarda, — rise mentre registrava un video. — Nostro figlio sta giocando a nascondino!

Ma poi, riguardando il video, il sorriso si trasformò in preoccupazione. Quaranta minuti senza un movimento. Lui stava semplicemente lì, con la faccia sepolta nel materasso.

— Marco! Vieni qui, — chiamò suo marito.

Lui uscì, ancora assonnato, con una tazza di caffè in mano.
— Gli piace così, Martina. Non preoccuparti.

Ma lei si preoccupava.

Ogni giorno il piccolo si comportava in modo sempre più strano. Appena lo metteva giù, si rannicchiava e nascondeva la faccia. Anche mentre dormiva. Anche quando lo prendeva in braccio. Quando cantava, non la guardava. Quando rideva, non reagiva.

Un giorno capì una cosa: non l’aveva mai guardata negli occhi.

Al terzo mese Martina quasi non dormiva più. Di notte stava sveglia accanto alla culla, ascoltando il respiro di Lorenzo, temendo di non sentirlo un giorno.

— C’è qualcosa che non va, — sussurrava.
— Sei solo stanca, — sospirava Marco.

Ma lui non vedeva come Lorenzo si spaventava con la luce, come piangeva se lo prendeva in braccio qualcuno che non conosceva.

Quel giorno Martina decise di portare il figlio al parco. Forse l’aria fresca avrebbe aiutato.
Il sole accarezzava dolcemente l’erba, intorno i bambini ridevano e inseguivano bolle di sapone. Lei mise Lorenzo su una coperta — lui alzò la testa, guardò verso i suoni… e subito nascose di nuovo il viso nella stoffa.

Passò un cane, tintinnarono campanellini, qualcuno suonava la chitarra. Ma Lorenzo sembrava racchiuso in un bozzolo.

Martina sentì il panico salire dentro di sé.
Quella sera navigò su siti e letture, cercando storie altrui — “disturbi sensoriali”, “primi segnali di autismo”. Tutto suonava spaventoso, ma il cuore le diceva: non è questo.

A notte fonda, quando il figlio si girò di nuovo a pancia in giù e smise di muoversi, non ce la fece più.

— Basta. Chiamo il dottore.

La voce le tremava:
— Mio figlio nasconde sempre il viso… Non risponde, non guarda, non sorride.

— Portatelo domani mattina, — rispose l’infermiera. — Vedremo cosa fare.

La mattina sembrò non finire mai.
In macchina Martina teneva Lorenzo in braccio, senza mai distogliere lo sguardo.

In clinica li accolsero subito. Una giovane dottoressa, con voce dolce, visitò attentamente il bimbo: controllò i muscoli, il contatto visivo, i riflessi. Poi prese un sonaglio e lo scosse a destra. Nessuna reazione. A sinistra — silenzio.

— Ha mai sobbalzato a rumori forti? — chiese la dottoressa.

Martina scosse la testa.

La dottoressa si fece seria.
— Dobbiamo fare un test dell’udito. Potrebbe trattarsi di una sordità congenita.

Quelle parole furono come un pugno nello stomaco.
— Vuol dire… che non sente? — chiese Martina, strozzando la voce.

— Non lo sappiamo ancora con certezza. Ma se un bambino non sente, spesso si chiude nel suo mondo. Si nasconde — non da voi, ma dal silenzio.

Due ore dopo tutto era chiaro.
I risultati mostrarono una sordità neurosensoriale bilaterale. Grave.

— Ma siete arrivati in tempo, — disse la dottoressa. — Possiamo aiutarlo. La cosa più importante è non lasciarlo nel silenzio.

Martina teneva Lorenzo in braccio, lo baciava sulla testa, le lacrime cadevano tra i suoi capelli.
— Gli mostreremo il mondo. Lo prometto.

Le prime settimane con gli apparecchi furono dure. Si spaventava per ogni suono — il frigorifero, il vento, la sua voce. Ogni giorno era una nuova sfida.

Ma lei non si arrese. Si metteva davanti a lui e ripeteva:
— Ciao, Lorenzo. Sono la mamma. Ti voglio bene.

E un giorno, dopo un mese, lui girò la testa. I suoi occhi incontrarono i suoi.
E per la prima volta — sorrise.

Martina si coprì la bocca con le mani.
— Ha sentito… — sussurrò.

Da allora Lorenzo non nasconde più il viso.
Non ha più paura del mondo.
Perché ora il mondo gli parla — con la voce dell’amore.

 

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