L’orsa posò il suo cucciolo davanti a me, in silenzio. Quello che accadde dopo non potrà mai essere cancellato dal mio cuore.

 L’orsa posò il suo cucciolo davanti a me, in silenzio. Quello che accadde dopo non potrà mai essere cancellato dal mio cuore.

Un dono lasciato sul mio uscio

Erano circa le sei del mattino. Aprii la porta per far entrare l’aria fresca dell’alba e… mi bloccai. Sul bordo del cortile, proprio accanto ai gradini, c’era un’orsa. Grande, sfinita, tremante. Respirava a fatica, e nei suoi occhi c’era qualcosa di umido, come se stesse piangendo.

Non era lo sguardo di un predatore. Era lo sguardo di una madre che non ha più dove andare.

Istintivamente, stavo per richiudere la porta, la mano già vicina al fucile. Ma non ci riuscii. Nei suoi occhi non c’erano né rabbia né minaccia. Solo supplica.

Fece un passo. Poi un altro. E con estrema delicatezza, depose davanti a sé un piccolo batuffolo di pelo. Il cucciolo era immobile. L’orsa si ritrasse di un passo e mi fissò. Silenziosa.

Così è iniziata una mattina che non dimenticherò mai.

Il piccolo sul pianerottolo

Il cucciolo era minuscolo, scheletrico, respirava a malapena. Una zampetta era sporca di sangue secco, scuro. Il petto si sollevava appena, ma il cuore batteva. Parlai a voce alta, senza sapere perché:

— Proverò ad aiutarlo, va bene?

L’orsa non si mosse. Rimase lì, seduta, osservando, come se capisse ogni parola.

Avvolsi il piccolo in una camicia e lo portai dentro. Posizionai un vecchio stufetto vicino, sistemai degli asciugamani per creare un nido caldo. Inumidii le labbra del cucciolo con una goccia d’acqua tiepida e miele — si mosse appena. Chiamai Marco, un veterinario che conoscevo:

— Un’orsa ha lasciato il suo cucciolo sulla mia soglia.

Ci fu silenzio, poi disse solo:

— Scalda. Non dargli nulla di pesante. Aspetta la faunista.

Fuori, l’orsa era ancora lì. Immobile. Nessun ringhio, nessuna ostilità. Solo pazienza. Solo fiducia.

Lotta per la vita

Verso mezzogiorno, il respiro del piccolo si era fatto più regolare, ma la zampa era gonfia. Disinfettai la ferita e lui emise un gemito — era vivo. Lo portai dalla specialista di fauna selvatica, Gianna.

— È un morso di maschio adulto — disse, dopo averlo esaminato. — Succede. I maschi uccidono i cuccioli altrui per far tornare le femmine in calore.

Serravo i pugni. Gianna aggiunse, con voce più dolce:

— È un combattente. Sei arrivato in tempo. Ha una possibilità.

Il turno davanti al bosco

Tornando a casa, la vidi di nuovo. L’orsa non se n’era mai andata. Era lì, accanto alla strada, vigile e silenziosa. Portai fuori il trasportino con il cucciolo e lo misi poco distante. Lei lo guardò, poi guardò me — e si sdraiò più in là. Come una sentinella.

Quella notte non dormii. Nemmeno lei. Stavamo lì, ciascuno dal proprio lato. Io controllavo il respiro del cucciolo e sussurravo nel silenzio:

— Resisti, piccolo. Devi farcela.

Quando gli umani intervengono

Dopo qualche giorno arrivò il mio vicino Lorenzo. Vide l’orsa e fischiò piano:

— Sei impazzito? Quella è selvatica!

Poco dopo comparve anche l’assistente del maresciallo:

— I forestali lo sanno. Se scoprono che stai tenendo un animale selvatico, lo portano via. E non è detto che vivo.

Sapevo che era il momento di decidere. Il cucciolo era più forte, mangiava bacche inzuppate nell’acqua, camminava goffamente sul pavimento. Non aveva paura di me.

Il ritorno

Andammo nel bosco. Posai il trasportino a terra e mi allontanai. L’orsa emerse dagli alberi — silenziosa, imponente, come un’ombra.

Il cucciolo uscì, annusò l’aria, la vide. Lei si avvicinò, lo annusò anche lei. Poi guardò me. E all’improvviso — lo spinse dolcemente verso di me.

Non credevo ai miei occhi. Sembrava volesse dire:

— Ora è tuo.

E poi se ne andò tra gli alberi. Senza un ringhio, senza un suono.

Tra due mondi

Sono passati due mesi. L’orsa non è tornata. Il cucciolo vive nei paraggi — non è proprio domestico, ma nemmeno del tutto selvatico. Dorme sotto il portico, va nel bosco, ma torna sempre quando gli lascio la ciotola.

A volte, di notte, alza la testa e guarda verso il buio — come se la sentisse ancora, da qualche parte. E io, ogni sera, lascio accesa una luce sul gradino.

È cresciuto. Forte, cauto. Il suo posto è tra il bosco selvaggio e la casa dell’uomo. E forse, adesso, anche il mio è lì.

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